"Ecco perché i nostri vini non saranno più Franciacorta"
Francesco Franzini spiega la scelta dell'azienda agricola Cavalleri di Erbusco di lasciare il Consorzio e rinunciare alla De.Co

Non è la prima volta che l’azienda agricola Cavalleri di Erbusco prende le distanze dal Consorzio per la tutela del Franciacorta. C’era già stato un allontanamento, qualche anno fa (tra il 2007 e il 2013), ma si trattava di una divergenza più di natura amministrativa, legata alla tutela del marchio. Questa volta, invece, è una lacerazione profonda, un taglio netto e sofferto. La cantina, infatti, come annunciato in una nota ufficiale diffusa giovedì 27 marzo, ha deciso non soltanto di lasciare il Consorzio, ma anche di rinunciare alla Denominazione, quella Docg che il fondatore dell’azienda, il compianto Giovanni Cavalleri (mancato nel 2005) aveva contribuito a costruire. Una notizia sconvolgente per il mondo degli appassionati del vino che tuttavia, come ha spiegato Francesco Franzini, il quale insieme a Diletta Nember rappresenta la terza generazione, non vuole assolutamente suscitare polemica. In questa intervista, pubblicata sul settimanale ChiariWeek, ha raccontato le ragioni profonde di questa scelta, ma anche le aspirazioni e i valori fondanti di un'azienda che ha contribuito a scrivere la storia della Franciacorta.
"Ecco perché i nostri vini non saranno più Franciacorta"
Perché questa rinuncia?
"Rinunciare alla Denominazione è una scelta forte e molto sofferta. Il nonno è stato tra i soci fondatori del Consorzio, con grandi sforzi e sacrifici. All’epoca serviva un’unità di intenti: c’era già una tradizione vitivinicola ma mancava una tensione verso ciò che la Franciacorta è diventata con l’istituzione prima della Doc e poi della Docg. Noi ci siamo ripromessi di azzerare ogni polemica, non è quello l’obiettivo: la Franciacorta resta la nostra terra, i nostri vigneti sono qui, non vogliamo un allontanamento né fisico né ideale dal territorio. E non abbiamo nessuna necessità di espansione: attualmente produciamo tra le 160mila e le 180mila bottiglie, con picchi da 200mila quando ci va bene, ma in base al Disciplinare avremmo un potenziale da 300mila. La decisione nasce dal bisogno di affermare con forza quello che secondo noi è produrre vino qui. Non ci sentiamo più allineati con la visione dei colleghi. E non si tratta di un giudizio su ciò che giusto o sbagliato: solo di visioni diverse e inconciliabili. I nostri nonni e i nostri genitori ci hanno insegnato che quando una scelta va fatta, è inevitabile".
Non c’è possibilità di un ripensamento?
"Se nella dialettica vedi una mediazione, allora vale la pena anche di dannarsi l’anima, ma se questo presupposto viene meno è inutile, diventa frustrante. Non è una visione disfattista e non crediamo di avere la verità in tasca, ma non ci identifichiamo più nella Denominazione".
Insomma, una questione identitaria?
"Sì, noi vogliamo affermare con forza l’identità che abbiamo ricevuto da nostro nonno. Non c’è nessuna ostilità, non è una presa di distanza assoluta da un luogo che resta la nostra casa, seppur in disaccordo con una visione che non è più in linea con la nostra".
Cosa significa produrre vino in Franciacorta?
"Facciamo un mestiere che, secondo quello che ci è stato insegnato, va preso con una quota di cuore, altrimenti si rischia di perdere l’anima del vino che deve saper raccontare la storia di un territorio, di una famiglia. Per noi la serenità è fondamentale: non vogliamo più pensare alle battaglie. Abbiamo scelto di investire sull’agricoltura biologica di precisione e sull’agricoltura biodinamica. Lavoriamo sulla vitalità dei suoli con tanta dedizione, concentrandoci sugli equilibri della vigna. L’agricoltura secondo noi non deve avere come unico obiettivo la produttività".
Quali sono i valori fondanti della filosofia aziendale?
"L’ultimo vigneto che abbiamo impiantato, in agroforestazione, chiarisce la nostra visione, che non è niente di diverso rispetto a quello che ci è stato insegnato. Di fronte al cambiamento climatico siamo chiamati a fare delle scelte a lungo termine e la strada più interessante per noi è quella agronomica. Preferiamo lavorare sulla salute del vigneto, dove la pianta vive (e non tanto sulle pratiche di correzione in cantina). Sostanzialmente il vigneto sarà intervallato da due strisce bosco: una scelta che favorisce la biodiversità, perché una parte del terreno ha la funzione di scambio con benefici (speriamo) sulla qualità delle uve. Cresceranno anche piante ad alto fusto e alberi da frutto, portando ombreggiatura e migliorando il microclima, dando vita a un polmone verde".
Come si giustifica questa scelta in ottica imprenditoriale?
"Se rinunciamo a una parte di vigneto per metterci un bosco, perdiamo un 20% di produttività: ma noi pensiamo che quel -20% valorizzi di più il vigneto, in termini di salute e qualità. Non ci siamo inventati niente: sono soluzioni che abbiamo appreso da altre aziende che ammiriamo, già adottate in Italia e in Europa da realtà che hanno una visione agricola improntata agli equilibri naturali. Si tratta di creare una connessione forte tra il vino che produci e il territorio in cui è prodotto".
Il bosco tra i filari: una vigna piantata in agroforestazione a Erbusco
Sul cartello che campeggia nel vigneto, insieme alla dedica a Paolo Camozzi, prematuramente scomparso il 3 aprile 2024, definito "una persona che ha promosso con sensibilità e lungimiranza un’agricoltura responsabile e a misura d’uomo", si precisa che l’approccio di agroforestazione "comporta un sacrifico in termini di superficie: il bosco occupa circa 4mila metri quadrati su 18mila vitabili: siamo però convinti che risulterà essere vantaggioso sia dal punto di vista agronomico che paesaggistico, a beneficio di tutte le persone che, come noi, abitano e frequentano questa collina".
(di Stefania Vezzoli)
Noi apicultori abbiamo bisogno di voi perché il consorzio di feanciacorta sta distruggendo il territorio io ho un apiario a Villa di Erbusco.Enzo
Ben fatto! Auguri di ogni bene dal Friuli! Il mondo ha bisogno di persone come voi 😘
Le scelte che riportano al centro l"antica e vera connessione "uomo e natura", che abbandonano la visuale del solo profitto impoveritore sia del territorio che del prodotto, sono difficili ma risananti e lungimiranti. Plaudo alla politica abbracciata dalla cantina Cavalleri. Spero che possa creare una scia di imitazione.
Bravissimi! Vigna e vino bisogna amarli a costo anche di rimetterci un po'. Ma in realtà la remissione economica in senso ampio non ci sarà perché la natura e specie la vigna ti ripagheranno sempre. Non a caso Cristo ha posto il vino come segno del suo sangue.