la disavventura

Tre clarensi travolti da una valanga, il racconto: “Siamo vivi per miracolo”

Il racconto di Giorgio Ferlinghetti, impegnato in un escursione sulla neve in val Brembana assieme al fratello e a due amici

Tre clarensi travolti da una valanga, il racconto: “Siamo vivi per miracolo”

di Emma Crescenti

Hanno sentito la neve cedere sotto i loro piedi e in un attimo hanno capito che quella salita sarebbe potuta essere l’ultima. Una consapevolezza agghiacciante che li ha accompagnati per 300 metri di caduta, in balia della valanga che sabato mattina ha travolto i clarensi Giorgio Ferlinghetti, Matteo Ferlinghetti e Marco Tusa poco prima di raggiungere la cima del monte Pegherolo, nell’Alta Val Brembana. Trecento metri di discesa che sono sembrati chilometri, stringendo i denti e sperando in un miracolo che alla fine è arrivato. Ferite, fratture, escoriazioni, più il trauma psicologico. Certo non ne sono usciti illesi, ma vivi. E questo è l’importante.

Tre clarensi travolti da una valanga

Non si definiscono veri e propri esperti alpinisti, ma non sono nemmeno degli sprovveduti, anzi. Il percorso era nuovo, ma non era la prima escursione del genere sulla neve. Abbigliamento, scarponi, ramponi, avevano tutta l’attrezzatura del caso e soprattutto l’esperienza necessaria per affrontare la salita in sicurezza, prima di partire avevano anche controllato il meteo. Ma la montagna è imprevedibile, chi la ama lo sa, lo mette in conto ogni volta.

«Mancavano tre o quattro metri prima del passo finale, eravamo quasi arrivati al cornicione sommitale dove la neve è più morbida quando l’ho sentita cedere sotto i piedi: ero il primo del gruppo, ho provato ad avvisare gli altri ma non c’è stato più tempo», ci racconta Giorgio Ferlinghetti mentre torna a casa dall’ospedale di Sondalo, dove fino a martedì è stato ricoverato per le ferite alla testa e un leggero pneumotorace. Un racconto che mette i brividi, sembra quasi di sentire il vuoto sotto i piedi, la neve nella bocca, la paura che in quel momento ha avvolto i tre clarensi, trascinati a valle dalla slavina sotto gli occhi dell’amico Matteo Vittoni, di Gussago, l’unico che è riuscito a spostarsi prima di essere travolto dalla slavina. «Non so quanto sia durato, ma è sembrata un’eternità: in un attimo non ho più visto nessuno, ero completamente terrorizzato, e sì, ho pensato di morire – ha raccontato – Poi la valanga si è fermata, eravamo arrivati in fondo al canalone: ero dolorante, indolenzito avevo la bocca piena di neve, ma in quel momento ho capito che ero vivo per miracolo».

I soccorsi

Il primo pensiero è stato per i suoi compagni, finiti a pochi metri di distanza, fortunatamente tutti in superficie: per il fratello, incosciente, che però ancora respirava e l’amico, che piano piano si stava riprendendo. Il secondo è stato allertare il soccorso alpino e di aiutare gli altri membri del gruppo: un sangue freddo eccezionale, quello di un vigile del fuoco volontario (in forze al distaccamento di Chiari, Giorgio Ferlinghetti è anche presidente dell’associazione locale), che in questo caso ha fatto la differenza. Sul posto, oltre al personale del soccorso alpino, in poco tempo sono intervenuti anche due eliambulanze atterrate nello spiazzo nevoso in fondo al canalone, che hanno trasportato gli escursionisti a Sondalo, Bergamo e Milano. Il clarense è stato dimesso martedì, il fratello è uscito dal Papa Giovanni XXIII con due vertebre scheggiate e un busto da portare per 45 giorni, mentre l’amico ha riportato un’emorragia al fegato ora sotto controllo, ma rimane in osservazione.

Le ferite del corpo con il tempo guariranno, mentre il trauma psicologico per riassorbirsi ci mettere un po’ di più, così come il senso di responsabilità che Giorgio fatica a scrollarsi di dosso. Era primo della fila, dice, avrebbe dovuto accorgersi, stare più attento, si ripete. Ma la montagna è imprevedibile, a volte anche all’occhio più accorto. E tornare a fidarsi di lei, forse, sarà un percorso degno della scalata più ardua. «Fisicamente sarei pronto a riprendere domani, ma psicologicamente…», ha concluso. Ora, però, bisogna solo riposare.