Aldo Busi, quarant'anni fa il suo primo romanzo «Seminario sulla gioventù»
A Montichiari lo si può incontrare mentre, sovente in sella alla sua bici, si diletta a chiacchierare sfoggiando certe sue proverbiali verità, conscio di essere impareggiabile e inarrivabile
Di sé ha detto «Per scrivere mi sono ridotto persino a vivere», uno delle sue più corrosive, ficcanti espressioni. Aldo Busi, 76 primavere compiute lo scorso 25 febbraio, proprio nel marzo di 40 anni fa dava alle stampe per la prestigiosa casa editrice Adelphi, il romanzo di formazione intitolato «Seminario sulla gioventù».
Inizialmente intitolato «il monoclino»
L’opera prima e forse la più conosciuta e amata dai suoi tanti lettori, più volte ristampata, ma la cui gestazione non fu affatto breve: vi attese infatti ancora da adolescente, dal 1962, con il manoscritto intitolato inizialmente «il monoclino» e in mezzo viaggi, lavoro indefesso, relazioni, contatti umani, lo studio che lo porterà a laurearsi nel 1981 a Verona in Lingue e letterature straniere, la conoscenza della vita, insomma, ma sempre con in mente la scrittura. Se c’è uno scrittore libero, totalmente indipendente da pregiudizi, condizionamenti, interessi, favori, pressioni questo è stato ed è Aldo Busi, self made man. Irriverente, fuori da schemi e regole, anticonformista, moralista, libertino, alter ego di sé stesso, incontestabilmente sulle barricate quando c’è da combattere per difendere, prima di tutto, la propria incontrastata personalità.
Il romanziere monteclarense che ha diviso la critica
Così, se c’è chi, come Matteo Marchesini, lo considera un autore «dalla scrittura tanto puntigliosa quanto di immaginosa precisione» (inserendo il suo nome nel titolo di una raccolta di saggi, «Da Pascoli a Busi») altri, leggasi Massimo Onofri, conia per lui, e per Mauro Corona, la curiosa corrente di «dannunzianesimo degradato di massa». Ma Busi è questo, altro e oltre ogni definizione. La sua è una prosa torrenziale, vorticosa, un fiume in piena, ricca dal punto di vista lessicale, articolata e talvolta barocca e ampollosa, ma sempre appassionante e pertinente all’oggetto del suo viaggio personale e letterario: e i lettori lo hanno spesso premiato. È così fin dal «Seminario», di cui sarebbe apparso una ventina di anni più tardi nell’edizione accresciuta il seguito, il «romanzo interrotto (e interrato)» dal titolo «Seminario sulla vecchiaia». La sua opera prima fece scalpore segnando un percorso originale nella letteratura dell’epoca, con il suo Barbino (è lui stesso? Forse che sì forse che no): Busi sale così alla ribalta della notorietà, raccoglie successi, è richiesto in trasmissioni televisive, acquista un’audience sicura e duratura pur restando, in ogni caso, soprattutto lo scrittore (con la esse maiuscola, ça va sans dire) dedito totalmente alla letteratura. Dal 1984 dà vita a un’indefessa produzione, con una media di un romanzo all’anno e con essa giungono copiosi premi e riconoscimenti prestigiosi. Accanto ai romanzi si è dedicato a un’altra delle sue costanti, le traduzioni (è tra i massimi studiosi di Boccaccio), ma anche alla narrativa di viaggio, ai racconti e persino alla musica incidendo alcuni album.
Inarrivabile e impareggiabile
A Montichiari lo si può incontrare mentre, sovente in sella alla sua bici, si diletta a chiacchierare sfoggiando certe sue proverbiali verità, conscio di essere impareggiabile e inarrivabile. Del resto, se egli si è dedicato per tutta l’esistenza a scrivere è perché non aveva bisogno d’altro e non temeva nulla e nessuno: «Io non ho scheletri nell’armadio – ripete – anzi, non non ho neppure l’armadio». Chapeau, Busi.