L'intervista

Alessandra Bruschi è il nuovo direttore generale dell'Asst Franciacorta

Alla scoperta della prima donna al comando: "Il sistema si può risanare unendo i servizi già presenti sul territorio, serve fare rete"

Alessandra Bruschi è il nuovo direttore generale dell'Asst Franciacorta
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di Federica Gisonna

Lo avevamo già annunciato, c’è stato un cambio al vertice dell’Asst Franciacorta. Al posto del commissario straordinario Luigi Cajazzo c’è ora il direttore generale Alessandra Bruschi. A nominarla è stato il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana che, insieme all’assessore al Welfare Guido Bertolaso, ha scelto coloro che dall’1 gennaio sono alla guida delle 8 ATS, le 26 ASST e i 5 IRCCS della Lombardia e dell'Agenzia Regionale Emergenza Urgenza (Areu). Bruschi, classe 1977, vanta un curriculum di tutto rispetto e ha già avuto diversi ruoli dirigenziali. Durante il Covid è stata direttore generale dell’Ospedale di Stato della Repubblica di San Marino, ha guidato l’Asst di Cremona ed è anche stata dirigente della struttura complessa «Controllo di gestione e flussi informativi» dell’Azienda ospedaliera Carlo Poma di Mantova. In passato, invece, si è occupata della "Gestione operativa Inpatient" (sale operatorie e degenze) all’Istituto Clinico Humanitas di Milano e molte altre sono le esperienze nel suo ricco curriculum. Fortemente impegnata anche con Regione Lombardia (già alla direzione generale del Welfare e a quella della Salute), vanta numerosi titoli formativi e di perfezionamento oltre che docenze, corsi, convegni e congressi.

L'intervista alla prima donna al comando

Nata a Chiari, prima donna alla guida dell’Asst Franciacorta, ma anche la più giovane. Un insieme di primati che non possono che essere di buon auspicio. Alessandra Bruschi è la nuova guida dell’Asst Franciacorta. La nomina di direttore generale è arrivata da Regione Lombardia e, in particolare, dall’assessore al Welfare Guido Bertolaso.

Residente a Cremona, manager e mamma di due bambini di 10 e 13 anni, porta un cognome che in città (ma non solo) è noto a intere generazioni. Classe 1977, figlia del maestro Arturo Bruschi, al termine degli studi, dopo aver girato letteralmente quasi tutta la Lombardia e a seguito di un’importante parentesi a San Marino proprio durante il Covid, è finalmente «tornata» a casa.

Il quadro generale e le esperienze pregresse

Da ventisei anni via da Chiari, laureata in Economia e con un master in Logistica e trasporti. Gli esordi risalgono a quel mondo, nella TNT, e nel 2004 è giunta in Humanitas dove si è occupata della gestione delle sale operatorie, dei posti letto e del Pronto soccorso. Un approccio a quella che oggi è tipicamente la gestione operativa, che è stata implementata attraverso un’organizzazione volta a risolvere tutti i «colli di bottiglia» quali i tempi di attesa e le altre dinamiche del settore. Poi, dopo quasi 5 anni nel privato, c’è stato il passaggio a pubblico, all’Asst di Mantova dove Bruschi è rimasta per 7 anni e ha vissuto due esperienze diverse: una relativa al mondo dell’accoglienza (Cup, laboratorio, radiologia, libera professione e altro ancora in un’azienda molto grande con 5 ospedali e 14 poliambulatori) e poi nell’ambito dei controlli di gestione e dei flussi informativi. In questo arco temporale si colloca anche una prima esperienza in Regione Lombardia, ai tempi di Walter Bergamaschi, e poi viene chiamata a Cremona nel ruolo di direttore amministrativo. Conclusa l’esperienza triennale, c’è un ritorno al Pirellone, a fianco proprio dell’ex commissario straordinario Luigi Cajazzo. Insieme hanno dato vita al "Controllo direzionale" con l’obiettivo di unire i processi di programmazione alle assegnazioni economico-finanziarie. Poi, proprio nel periodo clou del Covid, nel 2020, Bruschi ha ricoperto il ruolo di Capo della Sanità dello Stato nella Repubblica di San Marino, alla guida completa del Welfare, occupandosi di tutto il mondo della Sanità "dalla A alla Z", dall’ospedale alle pensioni, dal rapporto con i medici di base alla psichiatria, partendo dalla prevenzione e arrivando ai rapporti con l’Oms allacciati soprattutto per l’ottenimento del vaccino Sputnik V (e non sono mancati studi con lo Spallanzani e la creazione di una grande rete).

Un’esperienza davvero qualificante che mi ha mostrato quelli che sono i bisogni delle persone. Non solo per quanto riguarda la parte ospedaliera, ma soprattutto per ciò che viene dopo. Questo mi ha sicuramente cambiato la prospettiva delle famiglie e dei bisogni.

Risale all’ottobre del 2021 il ritorno a Cremona con l’obiettivo di risanare e rilanciare l’ASC (Azienda Speciale Comunale) Cremona Solidale.

Una sfida colta perché non credo a coloro che dicono che in Lombardia non c’è il territorio. Sono molto orgogliosa delle mie origini e del mio aver vissuto la regione a 360° e credo molto in questo sistema. Volevo dunque comprendere le necessità, cosa accade alle famiglie nella fase post acuta, come quando un anziano viene dimesso dall’ospedale. Quelli sono i bisogni veri. Così ho lavorato molto per l’integrazione sanitaria, socio-sanitaria e sociale. Sulla presa in carico effettiva del paziente, la sfida effettiva del nostro sistema che non deve essere focalizzata solo sull’ospedale, ma anche sul territorio, su tutte le Fondazioni, sui privati e quello che ci sta intorno. L’obiettivo è creare una rete: il paziente è unico indipendentemente da chi lo finanzia. Bisogna aprire lo sguardo e creare un continuum.

In tal senso, in occasione della Giornata dell’Alzheimer è stato anche inaugurato l’ambulatorio geriatrico sanitario pubblico (con tanto di psicologo gratuito al caregiver e dell’intelligenza artificiale a supporto per la cura nel Nuclei Alzheimer). Un sistema di accompagnamento delle criticità, al centro delle nuove riforme, che sta prendendo piede piano piano.

Ha già un’idea di quello che potrebbe essere il suo futuro a Chiari?

«Credo che l’avvio di un’esperienza da direttore generale nell’Asst sia, rispetto al mio pregresso, il coronamento di un percorso che ha un approccio molto territoriale. E proprio in questo ben si colloca l’azienda della Franciacorta che già da come è strutturata, con quattro ambiti e tre distretti, l’area ospedaliera consolidata e di riferimento, i 55mila accessi da Pronto soccorso, è molto legata al suo territorio. Credo che la sfida sia proprio quella che ci ha dato la Regione e vorrei lavorare sull’integrazione del sistema, di quello che l’Asst ha già come servizi attivi da coniugare con quello che il territorio offre, senza creare doppioni, ma andando a fare rete con il sociale, con Comuni e privati, con l’associazionismo e le realtà territoriali tra cui eventuali Fondazioni (come Rsa). E’ necessario uscire dalla logica pubblico e privato, ma lavorare in rete. Dare una risposta al paziente è la priorità. Inoltre, credo molto nell’équipe integrata. Nessuno può fare bene da solo. Quando non accompagniamo il cittadino, questo va ovunque, aumentano gli accessi, le liste d’attesa e le persone si innervosiscono. Ci sono tutte le premesse per fare bene, accendendo i riflettori sul tema delle famiglie e dell’anziano che oggi sono i problemi principali, e mettendo sempre al primo posto il paziente, in tutto il percorso».

E per quanto riguarda gli Ospedali di Comunità?

Si dice che il sistema sanitario è malato: si può rilanciare passando proprio dall’integrazione dei servizi in ambito sanitario, sociosanitario e sociale (come potrebbero essere gli Ospedali di Comunità, ndr), si lavora su quello che c’è già e lo si mette insieme in rete e si sviluppano i servizi che mancano. Tra le prime domande che ho posto c’è stata quella di conoscere gli erogatori sul territorio. Doppie risorse sarebbero troppo onerose per il sistema e per il cittadino si creerebbe solo caos. Dobbiamo coprire i gap dove ci sono dei bisogni e uscire da tutti i paradigmi, parlando anche di domicilio e territorialità. Bisogna partire dal basso, uscire solo dagli ospedali e attuare un cambiamento che sia anche culturale.

Che cosa le è piaciuto fin da subito?

A pelle, mi è piaciuto che la struttura è molto rispondente. Altra caratteristica certamente bresciana è quella di vedere che la struttura conta anche di équipe motivate e personale che realmente ci tiene. Il senso di appartenenza all’azienda credo sia una delle caratteristiche che più mi ha colpito e che mi rende contenta di lavorare qua. Abbiamo un’ottima base con gente che crede nel suo lavoro, che lo fa anche di più di quanto necessario, con passione e dedizione. Bisogna preservarli e sostenerli.

E sul neo dell’attesa al Pronto Soccorso?

Sarà necessario e opportuno approfondire la qualità degli accessi. Quanti, per che tipo di patologie, le prese in carico mancate e indagare sui codici minori. E’ necessaria una mappatura del territorio e un’analisi delle urgenze. Il lavoro è da fare in squadra, anche attraverso l’opportuno passaggio dei medici di base sotto Asst. Certamente partiranno i lavori sul Pronto Soccorso e cercheremo di adattare la struttura dal punto di vista fisico e strutturale, ma il vero nodo è lavorare su quegli accessi che potevano essere evitati, magari attraverso una risposta territoriale anticipata, e comprendendone la qualità per preservare la struttura per quegli accessi più complessi e di maggiore intensità. Si è registrato il 15% in più degli accessi in Pronto Soccorso, anche di persone provenienti dalla Bergamasca. Bisognerà capire se fare rete anche con quei territori così da poter dare a tutti una risposta migliore.

E’ a conoscenza della questione relativa al Punto nascite di Iseo?

Sono al corrente della situazione e mi sono già trovata a gestire situazioni simili. Ci sono degli standard di riferimento ministeriali che nascono per garantire la qualità e soprattutto la sicurezza dei pazienti. Abbiamo un doppio tema, di qualità e di équipe. Bisognerà analizzare la situazione e le fughe. A prima vista sembra che le donne scelgano più le strutture bresciane che Chiari. Io credo che rispetto a Iseo bisognerà fare anche un discorso di integrazione tra noi e la Valle Camonica. Ho già fatto un giro nella struttura e sono in programma ulteriori incontri: credo che l’ospedale di Iseo abbia un grande potenziale. Valuterei, dunque, bene i bisogni. Le scelte saranno valutate e condivise con Ats e Regione, ma credo che gli approfondimenti sui quei territori dovranno essere fatti congiuntamente alla Asst Valcamonica con l’Ats di riferimento. Serve valutare anche i potenziali bisogni e, soprattutto, valorizzare i percorsi di primo livello a livello ostetrico e ginecologico (screening, consultori, visite specialistiche e prestazioni diagnostiche ...) per garantire la prossimità. Sul parto non si può rischiare.

E Orzinuovi?

Lo visiterò proprio in questi giorni. Anche questo presidio e le sue potenzialità dovranno essere approfondite. Ho bisogno di capire dove intervenire e rinforzare, mentre sono a conoscenza dell’ottimo funzionamento dell’hospice.

Qualche anticipazione sulla direzione strategica?

La presenteremo ufficialmente la prossima settimana. Sono ancora in corso le nomine. Posso però dire che sarà formata da due uomini e due donne. Cinquanta e cinquanta, così da garantire la parità di genere. Credo che sia fondamentale dare un segnale in una società che comunque, rispetto al passato, sta fortunatamente cambiando. Sarà una squadra multidisciplinare che non vede un uomo, o in questo caso, una donna al comando, ma un insieme di persone complementari. Ci sarà un direttore sanitario, uno amministrativo e uno socio-sanitario. L’obiettivo ambizioso è quello di essere davvero una direzione strategica e non soltanto per nome.

Infine, una domanda «scomoda». In Lei è evidente una connotazione politica?

Sono un tecnico, non rappresento destra, sinistra o centro. Ho lavorato per diverse istituzioni con diversi orientamenti e recentemente per un Comune di centro-sinistra in una Regione di centro-destra. Si agisce sempre per il bene dei cittadini che poi sono i pazienti. La priorità di tutti.

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