Epatite C, a Brescia i progetti per l'emersione del sommerso
Eradicare l'Epatite C è l'obiettivo che l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha fissato entro il 2030. Oggi i farmaci di nuova generazione consentono di trattare in modo efficace il virus, ma prima di curare la malattia è fondamentale potenziare le attività di screening per intercettare quelle persone che, magari senza saperlo, hanno contratto l'infezione nel corso della loro vita e oggi, pur senza sintomi, rischiano di essere veicolo di contagio.
A Brescia sono in corso numerosi progetti, come ci racconta la dottoressa Paola Nasta, medico infettivologo che collabora con l’associazione FdS -Il filo della Salute ETS, un ente del terzo settore senza fine di lucro che tramite la ricerca vuole aiutare le persone a prevenire e curare patologie per vivere meglio e più a lungo.
Perché i progetti per l’emersione del sommerso dell’Epatite C sono importanti?
L'epatite C è una malattia infiammatoria del fegato causata dal virus dell'epatite C (HCV, acronimo dell’inglese Hepatitis C Virus) che, in tutto il mondo, rappresenta una delle principali cause di trapianto e dello sviluppo di malattie croniche del fegato come, ad esempio, l'epatite cronica, la cirrosi epatica e il cancro del fegato o epatocarcinoma. Circa 100 milioni di persone nel mondo hanno un'infezione persistente (cronica) da HCV e circa 400.000 muoiono ogni anno per le sue conseguenze. I sintomi possono manifestarsi dopo diversi anni dal contagio ed è quindi presente una fetta della popolazione che non sa di essere malata e ignora di essere a sua volta veicolo di trasmissione.
Qual è la popolazione più a rischio?
L'epatite C si contrae per contatto con sangue infetto e la popolazione più colpita è quella dai 50 anni in su, che si è infettata negli anni passati prima che il virus dell’HCV venisse scoperto e che in Italia venissero adottati tutti i comportamenti virtuosi che ne hanno rallentato la diffusione. In passato il contagio avveniva attraverso micro-contaminazione di sangue, per esempio, attraverso le siringhe di vetro che venivano bollite e riutilizzate per più persone e più bambini per le iniezioni di farmaci a domicilio. Erano luogo di contagio anche gli studi dentistici: quando non c'era la conoscenza del virus, delle sue vie di trasmissione e non c'era l'attenzione alla sterilizzazione che c'è oggi. Anche le trasfusioni in ospedale potevano trasmettere il virus.
Il bresciano è un territorio che in passato è stato particolarmente colpito dal virus HCV: quali sono i dati di incidenza?
Nella provincia di Brescia c'è stato un alto tasso di infezioni da HCV nelle persone nate prima del 1950, si ritiene che la percentuale sia quasi del 3% in alcune zone dell'alto Lago di Garda, in Franciacorta e nelle Alte Valli. Questo ha portato di conseguenza all'incremento di casi di cirrosi epatica e tumore del fegato, soprattutto se il virus dell'HCV non riconosciuto veniva associato a uno stile di vita a rischio e a una dieta non adeguata, per esempio molto grassa o con abuso di alcolici. Negli anni 2000 la problematica epatica sul territorio ha raggiunto la soglia di allarme e quindi sono stati condotti vari studi epidemiologici per valutare la prevalenza di virus nella popolazione bresciana. Ed è stato così identificato un numero molto alto di persone affette da Epatite B cronica e da Epatite C cronica.
Quale metodo avete seguito per entrare in contatto con la popolazione target, da sottoporre agli screening?
A livello nazionale sono già partiti progetti per testare soggetti a rischio come i detenuti o le persone che hanno delle dipendenze. FdS ha cercato di intercettare un'altra fascia della popolazione che avesse delle caratteristiche di rischio, cioè quella delle persone provenienti da paesi in cui la prevalenza del virus era più alta, come l'Est Europa (Russia, Ucraina, Moldavia, Bielorussia, ecc.). Inoltre, FdS ha pensato di focalizzarci su quelle persone che lavorano all'interno delle nostre case, con ruoli di collaboratori domestici e badanti.
Quali approcci di comunicazione sono stati adottati per il coinvolgimento attivo di queste persone?
Sono stati realizzati dei volantini scritti in diverse lingue e li abbiamo posizionati in luoghi strategici, anche se le persone sono poi state raggiunte prevalentemente attraverso il passaparola.
Come sono stati erogati i servizi di counseling e screening a chi sceglieva di aderire? Come è stato gestito il linkage to care?
Le persone che si sono presentate sono state sottoposte al test rapido per la rilevazione degli anticorpi da Epatite C, la cui presenza indica che il paziente ha contratto il virus nel corso della sua vita. In caso di risposta positiva, è stata effettuata la ricerca HCV RNA, per valutare se il paziente avesse l’infezione in corso. In caso di positività, le persone venivano accompagnate nei centri di cura più vicini alla zona di appartenenza per iniziare la cura eradicante.
Quali i risultati ottenuti?
L'adesione è stata importante. È stato stimato che dal 2020 sul territorio di Brescia vivono circa 27.000 uomini e 63 mila donne circa provenienti dall'est Europa; calcolando che la malattia colpisce circa il 3-4% della popolazione, stimavamo che ci potesse essere un’incidenza sul nostro territorio di almeno 2mila donne infette e di circa 800 uomini. Sono state testate circa 350 persone. Circa il 4% delle persone testate erano infette.
Quali sono le ricadute positive in termini di prevenzione e per la comunità nel complesso?
L'identificazione della presenza del virus dell'Epatite C permette di prevenire tutta una serie di problemi correlati alla patologia cronica, con importanti benefici sia per la salute delle persone, sia in termini di costi e risorse "risparmiabili" dal Sistema Sanitario Nazionale. Quella dell'Epatite C è una problematica sanitaria importante, perché una persona affetta da una malattia al fegato grave ha elevate necessità di assistenza. Ecco perché è importante prevenirne la diffusione, a maggior ragione ora che abbiamo a disposizione - dal 2014 - i nuovi farmaci per curare la malattia, che hanno percentuali di successo elevatissime, fino al 98%. Chi si sottopone alla cura riduce enormemente anche il rischio di sviluppare patologie correlate all'Epatite C.