In Senegal a 88 anni per seguire la sua vocazione: la storia di padre Ezio
Nato a Pievedizio ha deciso di evadere dalla piccola realtà seguendo il suo cuore
Seguire la propria vocazione sempre: non importano le difficoltà, non importa quanti anni ci vorranno per realizzare i propri obiettivi e i propri sogni, l’importante è avere fede e non smettere di inseguirli.
E’ una storia antica ma bellissima quello di padre Ezio, così conosciuto in Africa e in paese, anche se sappiamo che il suo vero nome non è quello. Ma poco importa.
Ha lottato per poter portare avanti la sua passione
Una storia commovente di tenacia, determinazione e tanta voglia di fare del bene per gli altri: è questo la missione di vita di padre Ezio, 88 anni, originario di Pievedizio che a ottobre tornerà di nuovo in Senegal dopo la sua pausa estiva nella frazione del paese natale, Mairano.
"Sono nato proprio qui a Pievedizio nel ‘33, prima della guerra - ha raccontato padre Ezio - Ho conosciuto la vita, quella povera, semplice e modesta di questa gente, che ruotava attorno all’agricoltura. Vivevo in un cortile con altre cinque famiglie, erano tutti contadini e qui a Pievedizio c’erano solamente la chiesa, un’osteria, un panificio e tanti campi. Durante l’estate invece andavamo a Mairano in gruppo, i momenti di aggregazione erano forniti dal parroco. Non c’era molto e non si muoveva niente, nemmeno le foglie col vento. Non cambiava nulla, abbiamo avuto lo stesso sacerdote per 63 anni. Siamo cresciuti ignoranti, dopo le elementari a nessuno interessava proseguire le scuole eppure abbiamo sempre avuto un grande rispetto per il prossimo". E ognuno coltivava le proprie vocazioni. "Ho sentito subito il bisogno di dare un senso alla mia vita: a 15 anni mi sono detto che non avrei continuato così - ha proseguito - Mia madre voleva che facessi il calzolaio ma io piangevo ogni volta che dovevo andare a imparare il mestiere. Mi piaceva leggere, infatti passavo sempre molto tempo con il naso fra le pagine di quello che mi capitava, specialmente le riviste che riceveva una nostra vicina di casa dei missionari. Giravano il mondo, aiutavano le persone, evangelizzavano e ho sentito subito il desiderio di spaziare. Prima di diventare sacerdote ho sentito il bisogno di diventare missionario: non volevo morire all’ombra del campanile. Così ho chiesto al nostro parroco di indicarmi qualcuno per poter intraprendere la mia strada".
Le missioni
"Un vescovo che sapeva del mio desiderio e che mi aveva detto di avere fiducia nella provvidenza è riuscito a farmi partire per il Laos - ha detto con gli occhi lucidi - Nel ‘67 sono partito con la nave da Marsiglia e dopo 33 giorni, circumnavigando il canale di Suez siamo arrivati a destinazione. Un’esperienza meravigliosa dove ho imparato la lingua, i costumi e ho insegnato nel seminario, fino all’espulsione nell’agosto del ‘75 quando è scoppiata la guerra e siamo ritornati".
Successivamente è arrivata la convocazione per il Senegal.
"Siamo partiti in nove e siamo arrivati a Dakar, la capitale, dove siamo stati accolti con tanta gioia - ha detto - Lì ci sono tanti musulmani legati alle proprie tradizioni, pochissimi i cristiani ma noi siamo riusciti a instaurare un rapporto ottimo con tutti, facendo crescere la nostra comunità. Sono tutti molto poveri laggiù ma vivono degnamente. Non c’è acqua, tanta miseria, nulla e solo sabbia. Abbiamo costruito prima la parrocchiale, poi la scuola, poi una comunità e addirittura il collegio, poi le case, poi il centro sociale e poi ci sono stati anche i terreni da coltivare. Tutto utilizzando il materiale senegalese, poco importato dall’Italia: solamente una statua della Madonna. Per anni ho animato anche i seminari, nessuno è stato a braccia conserte e siamo sempre andati alla ricerca di cristiani".
Leggi l'intervista completa su Manerbio Week, in edicola