Vulcania Montichiari, l'ultimo superstite spegne 99 candeline
Francesco Favagrossa conserva ancora una mente lucidissima e lo spirito di chi ne ha passate tante ma ha sempre venduta cara la pelle.
di Marzia Borzi
Festeggia oggi 99 primavere Francesco Favagrossa, l'ultimo testimone dei terribili fatti accaduti alla Vulcania di Montichiari.
Classe 1922, Favagrossa conserva ancora una mente lucidissima e lo spirito di chi ne ha passate tante ma ha sempre «venduta cara la pelle».
L'ultimo testimone
Reduce dalla Seconda Guerra Mondiale, è lui l'ultimo sopravvissuto in paese dei lavoratori della Polveriera e testimone diretto della più grave fra le esplosioni avvenute alla Vulcania, la fabbrica di esplosivi della Fascia d’Oro, al confine tra Montichiari e Castenedolo, che costò la vita a oltre 60 operai.
Di famiglia modesta, originaria della Val Trompia, Francesco entrò alla Polveriera all'età di 17 anni per occuparsi della manutenzione dei reparti.
Il ricordo dei terribili eventi
"Il 6 marzo era una bella giornata, limpida e tersa - racconta - Stavo cambiando con alcuni compagni una lampadina all’esterno di un capannone quando abbiamo sentito un tremendo boato che ha scosso la terra come ci fosse il terremoto. Il cielo si è fatto nero, quasi fosse scesa improvvisamente la notte. Dopo un attimo di smarrimento, siamo saltati dentro un terrapieno che era lì vicino, restando sdraiati per un tempo che mi sembrò infinito, poi iniziarono le grida. Lo scoppio era avvenuto proprio in uno dei reparti in cui lavoravano più operai. Io sono scappato a piedi verso Vighizzolo, lungo la strada per chiamare aiuto o fermare macchine di passaggio. Nell’erba ho visto pezzi di braccia e gambe, volati anche a centinaia di metri e un ciuffo di capelli biondi che ancora ricordo con profonda impressione. I soccorsi arrivarono immediati perché la direzione aveva allertato l’aeroporto di Ghedi che mandò subito i pompieri seguiti dalla Croce Bianca di Montichiari. Tra i morti estratti dalle macerie c’era Camillo Giovanardi, il giovane dottore in chimica di soli 27 anni e Giuseppina Belli, una bella ragazza di Montichiari che era stata colpita alla testa da un mattone scagliato dallo scoppio. Le motivazioni dello scoppio non furono mai chiarite. Mancavano pochi giorni alla dichiarazione di guerra contro Francia e Inghilterra e l’immagine del Regime non poteva essere scalfita. Ricordo i funerali officiati dall’abate Quaranta e dal Vescovo Tredici, con la bandiera tricolore abbrunata e il saluto romano al passaggio delle salme come era allora di rito. Io non volevo tornare a lavorare alla Vulcania ma ho dovuto farlo. Ci sono rimasto per tutto il 1940 e il 1941. Spesso trovavamo pezzi di ossa, sparse qua e là e le mettevamo in una cassettina. Il 15 gennaio del 1942 sono poi partito per la guerra ma quella è un’altra storia, un’altra ferita che tanti ragazzi, tra i quali i molti orfani della Vulcania, hanno dovuto subire in quei tempi terribili e infausti».
Oggi Francesco Favagrossa vive serenamente a Montichiari, circondato dall'affetto della moglie Maria Rossi e dalle amatissime nipoti Laura e Irene che non hanno mancato di festeggiarlo con grande affetto.