Mark Lanegan incanta al Vittoriale
Era molto atteso, sulle sponde del Lago di Garda e non solo, il concerto di Mark Lanegan, ospite del festival Tener-a-mente nella splendida cornice del Vittoriale degli Italiani, a Gardone. Il Gargoyle Tour, che il giorno precedente ha fatto tappa a Sesto al Reghena, è approdato così nell’incantevole scenario offerto dalla dimora del Vate, a rendere ancora più suggestiva una serata che si preannunciava già magica in partenza.
Il live di Lanegan, definito da più parti come uno dei più importanti esponenti del rock mondiale, riconosciuto come artista oscuro sì, ma in grado di offrire vivide emozioni, viene preceduto dalle esibizioni, molto apprezzate da un pubblico attento e rispettoso, di Lyenn e Duke Garwood. Poi entra in scena la Mark Lanegan Band con il frontman affiancato, fra gli altri, dal fido e talentuoso chitarrista Jeff Fielder e dallo stesso Garwood, con cui nel 2013 ha inciso il disco “Black Pudding”. E Sua Cupezza Mr. Lanegan, di nero vestito, of course, fa subito intendere di che spessore sarà la performance, scaldando subito la sua voce baritonale e la platea con “Death’s head tattoo”, il brano che apre proprio “Gargoyle”, il suo nuovo disco di inediti, uscito alla fine dello scorso aprile, seguita a stretto giro da “The Gravedigger's Song”, canzone molto amata dal pubblico che invece è l’incipit di “Blues funeral”, album del 2012 e per certi versi forse il lavoro più vicino all’ultima fatica del rocker di Ellensburg. Dallo stesso disco Lanegan sceglie di eseguire subito “Riot in my house”, mentre con “Wish you well” si fa un salto all’indietro, al 2003. Chiara però appare quasi da subito la scelta da parte di colui che viene considerato uno dei sopravvissuti al periodo grunge, di attingere al proprio repertorio più recente, ovvero degli anni Duemila. Non ci sarà spazio per cover degli Screaming Trees, la prima band in cui ha militato, in quell’epoca appunto passata alla storia (della musica, almeno) col nome di grunge e che viene considerata da molti critici, a mio avviso a ragione, come l’ultimo grande momento di rottura del rock, e ultimo grande periodo pregno di creatività e novità. La scaletta è un continuo rimbalzare avanti e indietro nel tempo, ma, dopo “Hit the city”, Lanegan sceglie di regalare un filotto di quattro brani da Gargoyle, i singoli “Nocturne” e “Beehive”, la ritmata “Emperor” e quella che già da molti fan è stata eletta come “la” canzone di “Gargoyle”, ovvero la struggente “Goodbye to beauty”. Ecco, qui sappiamo di correre il rischio di passare per retorici, ma… sarà che ne abbiamo letto da poco un bellissimo ricordo, sarà che un altro grande del grunge, Eddie Vedder, ha iniziato a esorcizzare il dolore per la scomparsa dell’amico parlandone ai concerti, non possiamo fare a meno di pensare a Chris Cornell e al fatto che la canzone potrebbe essere benissimo dedicata a lui (The dogs are whining/Something's changing/Day follows night, night follows day/Makes like a friend before it slips away), anche se sappiamo che non è così. Bando alla malinconia, però, perché è tempo di ballare (metaforicamente, visto che siamo tutti seduti…) con “Ode to a sad disco”, probabilmente il brano più riuscito del recente Lanegan, un mix perfetto, incredibilmente, fra la sua voce roca e gutturale e le sonorità campionate di un pezzo memorabile.
Il connubio fra blues, rock ed elettronica, è perfetto, i pezzi filano via uno dopo l’altro, in un crescendo che tocca vette assai alte con “Harvest home” (di nuovo, non poteva che essere “Black is the colour/Black is my name”), la romantica “Deepest shade” dei Twilight Singers e l’ipnotica “One hundred days”, prima della grande chiusura della setilist con “Methamphetamine Blues”. Il tempo di una brevissima pausa e la band torna sul palco per il commiato definitifo, non prima però di aver emozionato ancora con “Killing season”, da “Phantom Radio” e “Love will tear usa apart”, cover riuscitissima dei Joy Division. Si alzano le luci del palco, a illuminare il pubblico da tutto esaurito del Vittoriale, e lo fanno illuminando volti su cui compaiono sorrisi pieni di soddisfazione e gratitudine. Una gratitudine che è stato possibile poi esprimere di persona al grande Lanegan, prestatosi fino all’ultimo fan della lunga fila a dediche, autografi e foto. Cade la pioggia. Tempo di (continuare a) sognare, perché, “there is no crime to dreams like that”.
Francesco Nicolli