Coronavirus, una monteclarense racconta la sua quarantena

«Pochissime persone comprendono la gravità di quanto sta accadendo e quanto la situazione sia pericolosa».

Coronavirus, una monteclarense racconta la sua quarantena

Come si vive in quarantena? Quali sono le procedure alle quali bisogna sottostare in caso di sospetto positivo al famigerato Coronavirus? Cosa significa subire il tampone? A raccontarlo una monteclarense che in queste ore si trova in isolamento nella sua casa, dopo essere stata a contatto ambientale con uno dei primi deceduti per Covid-19 e che racconta telefonicamente come vengono scandite queste ore di angoscia in attesa del responso.

Il racconto

«La mia odissea è partita lunedì scorso – racconta la donna – quando sono stata contattata da ATS perché mi sono trovata a frequentare lo stesso ambiente di uno dei primi deceduti. Mi sono così sottoposta al tampone naso –gola, una analisi che non è dolorosa ma piuttosto fastidiosa perché ti senti grattare con una certa insistenza con una sorta di lungo cotton fioc. Ora sono in attesa del responso e nel frattempo mi hanno dato precise indicazioni che però è piuttosto difficile seguire alla lettera.

Dovrei dormire ed alloggiare in una stanza tutta mia con un bagno di utilizzo personale e già questo è un problema, perché io vivo con mio marito in un piccolo appartamento che ha un’unica zona giorno, una camera e un solo bagno. Ogni volta che utilizzo i servizi igienici, dunque, disinfetto tutto accuratamente con alcol e ovviamente ho un asciugamani distinto da quello del mio coniuge. Evito di sedermi sul divano troppo vicina a lui e ci siamo messi a due lati distinti della tavola, per la prima volta mangiamo a tre metri di distanza.

Il medico mi chiama due volte al giorno per sapere come sto e questo mi ha fatto capire fin da subito che si tratta di una malattia seria.

In questi giorni mi sono resa conto – conclude – che pochissime persone comprendono la gravità di quanto sta accadendo, quanto la situazione sia pericolosa. Nonostante abbia avvertito gli amici, alcuni mi hanno comunque chiesto se sabato sera si uscisse a mangiare una pizza o si facesse qualcosa insieme. Mi impressiona questa inconsapevolezza del pericolo reale che corriamo, molti dei colleghi e colleghe dove lavoro sono a casa con la febbre ma la gente prosegue la sua vita come se nulla fosse. Tutto questo mi lascia più allibita del propagarsi stesso della malattia».

L’articolo completo su Montichiariweek in edicola da oggi venerdì 13 marzo 2020

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